martedì 16 settembre 2008

una notte

Come ogni sera, Lorenzo è seduto in penombra nella stanza, sul letto troppo basso, troppo basso per lui, per me, per le nostre schiene malconce, troppo basso per evitare che il cane ci salga.
Una pioggia silenziosa si riversa a scrosci sulla finestra.
Disteso accanto a lui lo vedo afferrare il Minias e portarselo alla bocca. Cerco di contare le gocce che cadono sulla sua lingua.
"Non dovresti prenderle con dell'acqua?"
"Si, ma sono meno buone."
Ha ragione. Ogni tanto ne faccio anch'io uso, e devo ammettere che prese così sia il sapore che l'effetto sono diversi.
"Sai cosa? Preso così mi apre le porte dei pensieri e dei ricordi."
Gli accarezzo la schiena con la mano sinistra mentre sistemo la destra sotto il cuscino.
A volte mi piacerebbe registrarlo, molte volte mi sono ripromesso di lasciare accesa la cam e il microfono, senza che l'abbia mai fatto. Questi suoi monologhi sono intimi. Iniziano quando le finestre si chiudono per poi essere dimenticati quando le imposte vengono riaperte.
"Se potessi tornare indietro... si, se potessi tornare indietro penso che rifarei le stesse cose."
"Bello."
"Cambierei solo alcuni aspetti del mio carattere."
Ancora Minias e sigaretta.
"Se avessi la certezza di avere la stessa testa che ho adesso, agirei in modo diverso."
"Magari meno pigro."
"No, non è un fatto di pigrizia. Sono pigro per quanto riguarda l'uscire; ma oggi, con i computer, internet..., restare a casa non vuol essere pigro."
"Sono d'accordo."
I miei interventi si limitano a singole parole o piccole frasi.
"E poi con le mie fotografie non sono pigro, ne faccio di nuove, le sistemo, le sposto, le riguardo, le risposto."
"E non trovi più nulla."
"Manco di organizzazione. Tu probabilmente confondi la pigrizia con l'essere indolenti."
"Probabilmente hai ragione."
Silenzio.
Nell''angolo in alto a sinistra della stanza una macchia di fumo circonda il condizionatore.
"Dovremmo pitturare questa stanza."
Penso in silenzio mentre Lorenzo si accende un'altra sigaretta, dopo aver preso altre cinque gocce di Minias.
"Oggi abbiamo passato tutto il giorno con Mario."
"Si, bello." il ricordo del pitturare casa svanisce.
"E' strano come internet abbia cambiato i rapporti con gli amici."
"Cioè?"
"Noi oggi abbiamo trascorso l'intero pomeriggio con Mario, anche se ognuno era a casa propria intento a fare le proprie cose."
"Vero."
"Si, abbiamo perso tantissimo tempo giocando a risiko, ma abbiamo anche discusso. E' stato interessante."
"Si."
Con gli occhi stanchi e i riflessi rallentati, non riesco a rispondere ma mi limito ad un cenno con la testa. Lui non ci fa più caso, sa che lo seguo fino a che non prendo sonno; a lui non dispiace, questi monologhi notturni sono in realtà più per lui che per me.
Continuo ad accarezzargli la schiena.
"Io penso di aver afferrato perfettamente il concetto di internet e che lui rispecchi le mie necessità. In realtà ho bisogno di vedere fisicamente solo pochissime persone."
Ancora seduto nella stessa posizione, spegne la sigaretta nella tazza da brodo nera, usata come posacenere.
"Non riesco a prendere sonno."
Da quando lo conosco ha sempre avuto problemi ad addormentarsi. Di solito la dose giornaliera di Minias, presa la sera in 4/5 volte, è un valido alleato contro la sua guerra all'insonnia.
Non questa sera.
"Faccio un cannino?"
"Perché no?"
"Ma lo vuoi o acconsenti solo per farmi piacere?"
"Fumo molto volentieri, vuoi che lo faccia io?"
"Lo faccio io."
A me tocca accendere la lampada da terra alla mia sinistra, regolata da lui verso la parete qualche notte prima; mentre l'accendo sento i muscoli della schiena tendersi, un leggero crampo al polpaccio destro. La camera si riaccende regalando mille fantasie al guardone che si nasconde sul terrazzo del condominio di fronte. A me mostra un disegno regalatomi da Lorenzo: un cuore stilizzato con scritto "Il cuore è come il culo: meglio aperto." Poggiato sulla mia scrivania, contro una lampada da tavolo con impresso il logo della Jack Daniel's.
La canna si consuma nel silenzio. Nessuno dei due parla.
Lui seduto nello stesso punto, come per ricoprire le impronte delle sue natiche lasciate in precedenza, le mani a sostegno del mento; io steso al suo posto con il gomito appoggiato alla libreria a ponte sul letto.
Il cane dorme a sinistra russando.
"Beato lui che russa già."
Spegne la canna nella tazza, lasciandone acceso qualche millimetro quadrato; si solleva una piccola colonna di fumo simile a quella provocata dai bastoncini d'incenso. Nell'aria l'odore di hashish si congiunge al sapore delle nostre bocche secche.
Nessuno dei due parla.
Dopo gesti silenziosi, quali distendersi, spegnere la luce e accarezzare il cane sperando smetta di russare, ci troviamo uno accanto all'altro a pancia in su. I piedi di Lorenzo sporgono oltre i miei di almeno cinque centimetri, le teste allineate sui cuscini foderati di un cotone qualsiasi rosso.
Le sue gambe magre e storte si allungano. Assumiamo una posizione insolita alle nostre abitudini; entrambi sappiamo che nessuno riuscirà ad addormentarsi.
Rimpiango me qualche anno fa, quando bastava sdraiarmi per prender sonno. Non era un prender sonno in maniera fluida, era quasi uno svenire, una perdita di sensi, un grumo che blocca il flusso degli impulsi cerebrali. Ogni notte era una piccola morte. Ora è diverso. Tutte le parti del corpo devono essere perfettamente comode, anche un solo dito in posizione sbagliata e non si dorme. Però, ho imparato a coglierne gli aspetti positivi. Mi piace lo spasmo involontario di una parte del corpo, chiudere gli occhi e sentirmi abbondare in un vortice mentale, sentirmi catapultare in un buco nero dove non esistono né rumori né luci.
Gli accarezzo il torace, la cicatrice dell'ernia ombelicale e l'ombelico. Con la coda dell'occhio osservo il suo ventre tornato quasi completamente piatto, la sua pelle tesa e il suo corpo nervoso. La mano scende ancora. I boxer tirati su, appena sotto l'ombelico. Ne sento il tessuto, l'etichetta posta al centro dell'elastico superiore, sfioro il rigonfiamento del cazzo. Le sue gambe si tendono leggermente.
"Che te ne pare?"
"Di cosa?"
"Dell'evolversi della nottata."
"Bello. Succhialo."
Consci che nessuno dei due sarebbe venuto quella notte, ci lasciamo trasportare dai nostri istinti.
Cerchiamo l'uno il membro dell'altro desiderandone lo schizzo. Mani e bocche impegnate in un passo di ballo inventato al momento. L'uno segue i movimenti dell'altro. Nessuno guida la danza.
Nella bocca secca, sapore di urina. il naso intasato dall'odore di hashish, tabacco e sudore.
"E' un disastro."
"Che cosa?"
"Il mio cazzo."
"Hai preso il Minias."
"Si."
"E' normale. Anch'io non riesco a venire, sono troppo fumato."
Ci addormentiamo; ciascuno appoggiato alla sponda esterna del letto, coperti fino al torace dal lenzuolo marrone. Fuori continua a piovere.

giovedì 11 settembre 2008

TACCUINO DI UN GIOVANE SPORCACCIONE - ogni settimana su gaytorino.net

"... Perché tu non lo sai ma lui viveva in una forma di formaggio."
Non è possibile, in piedi con le mani appoggiate allo schienale della sedia, mia madre ricorda con nostalgia il mondo da cui anni fa sono scappato.
Un mondo cucitomi addosso, ma quando si è poco più che bambini, si sa, i vestiti li sceglie la mamma.
Sono sempre stato un figlio modello, il sogno di tutte le mamme del paese e mia madre mi portava fiera, mano nella mano, tra le bancarelle del mercato e tra le corsie della Standa. Ero un trofeo da mostrare con orgoglio e compiacenza.
Nessuno mi ha mai spiegato nulla del sesso, né quando ho scoperto la differenza tra maschio e femmina né quando ho eiaculato la prima volta.
Mi sono fatto strada da solo a forza di vedere un film di Moana Pozzi, pagherei oro per ricordarne il titolo, e di scopate con Davide, la sorella di Davide e amichetti vari.
L'anno della svolta è stato il 2003.
Un susseguirsi di eventi che mi hanno portato a scappare di casa il 16 giugno.
4 giorni dopo il mio 22esimo compleanno, il giorno prima dell'esame di medicina di laboratorio. Il giorno in cui con la macchina carica, dopo aver ricordato a mia madre quanto le volessi bene, mi sono trasferito a Brescia per vivere con il mio attuale compagno.
"Pensaci bene, quello adesso ti dice che ti ama, poi un giorno ti farà scopare dai suoi amici."
Ah però, sono dovuto scappare di casa e mandare una lettera in cui scrivevo:
1. sono gay
2. mi sono trasferito a Brescia
3. convivo con un uomo di 41 anni
per far declinare a mio padre il verbo scopare.
Hai sbagliato papà, i suoi amici sono gli unici che non mi scopano.
Questo sono io. Questa è la mia vita.
bnd

giovedì 4 settembre 2008

l'uomo e la sua ombra

Non ricordo di chi sia stata l'idea. Da tempo portavamo a letto l'ombra di un terzo. A volte era grasso, a volte dotato, sempre attivo, rasato. Ci eccitava la pancia, il petto e il culo peloso. Polpacci grossi, piedi grandi e mani possenti. Immaginavo i suoi occhi fissi su di me, le sue mani addosso mentre Lorenzo mi sussurrava le sue fantasie scopandomi da dietro.
Non avevamo ancora un profilo su nessun sito di messaggistica istantanea. Non volevamo saper nulla del terzo e volevamo che lui non sapesse nulla di noi.
L'abitacolo mi soffoca. Apro il finestrino. Nessun sollievo. Il rumore della strada mi entra nel cervello. Unico suono. Lorenzo mi guarda e non parla. Una pacca sulla gamba. Non parla. Mi sento oppresso da mille pensieri. Ansia. Torniamo a casa, vorrei urlare. Bocca serrata. Odore di polvere. Aria calda dai bocchettoni.
I fari dell'auto illuminano i miraggi che il calore provoca sull'asfalto. Le luci del polo espositivo si riflettono sul nero della strada e sulla macchina davanti.
Ci siamo. Rotonda. Seconda uscita.Rettilineo.Uscita a sinistra. Zona industriale. Sirene. Stridio delle cicale.
L'odore di asfalto, di gasolio, di uova marce si mischia all'aroma di kenzo.
Nodo allo stomaco. Fronte e mani sudate. Uccello bagnato.
Stop e incroci. Strade a destra e a sinistra. Ancora uno stop. Ancora un incrocio.
Bartolini sulla sinistra, noi svoltiamo a destra. Camion parcheggiati su entrambi i lati della strada. Comitive di autisti bevono vodka e birra seduti su casse ribaltate o su sgabelli dalla vernice scrostata.
"Mi amerai ancora?"
"Certo piccolo. Perché non dovrei?"
Da tempo avevo abbandonato i riti cattolici, da tempo stavo combattendo contro la morale impressa dentro di me.
Lorenzo mi insegnava a superare il pudico, la sacralità del sesso.
Io rispondevo bene.
Non ora. Non in questo momento. Non rispondo.
Svolta a sinistra. Accostiamo. Macchina spenta. Ancora soffoco. Un auto passa e rallenta. Fa il giro e non si ferma.
"Ci muoviamo?"
La voce di Lorenzo rompe il silenzio mentre la macchina parte.
Accendo la radio.
Looking from the outside in
Some things never change
Yeah yeah hey yeah hey yeah
Flying highwards seems like yesterday

dalle casse.
Eurythmics. Aria. Strada dissestata. Respiro. Sigaretta. Respiro.
Di nuovo fermi, alla sua sinistra il muro di un'azienda, alla mia destra dei cassoni di camion griffati Roger fermi lì chissà da quanto.
L'ennesima sigaretta per aspettare che il vigilante vada via con la sua Opel Corsa bianca.
Gli Eurythmics vengono sostituiti dai Travis. Lorenzo spegne la radio. Silenzio. I fari accesi. Mi guarda.
"Tutto bene bimbo?"
"Si"
"Mi sembri nervoso"
"Un po' lo sono. E se poi mi vedi con occhi diversi?"
"Ma va, resterai sempre il mio bimbo. Il mio bimbo un po' troietta."
Ride.
Rido.
"Se vuoi possiamo andare a casa."
"No, restiamo."
Un'altra sigaretta, il vigilante esce senza voltarsi dal piazzale.
"Ti va?"
"Si."
Finestrini chiusi. L'abitacolo è invaso di fumo e le luci di posizioni ancora accese. Buio intorno.
Mi afferra delicatamente la testa dalla nuca e la porta a se, mi bacia. La sua bocca sulla mia.
"Ti amo bimbo."
"Anch'io Lorenzo."
"Succhialo."
Aria calda dai bocchettoni ma non soffoco.
Mi metto a pecora sul sedile passeggero e prendo in bocca il cazzo duro. Dritto, se non per una leggera curva a sinistra all'altezza della cappella. Un lieve sapore di sudore fresco mescolato al profumo di zucchero a velo del bagnoschiuma. Odore familiare. Lo succhio. Niente soffoco.
Mi aiuto con la mano. Mignolo, anulare e medio intorno al cazzo, pollice e indice intorno alle labbra. Piccolo segreto per un gran pompino.
Lui tende le gambe magre. Al tatto sono lisce e la cosa non mi stupisce. Attraverso analisi approfondite sono arrivato a conoscere il suo corpo meglio del mio. E mentre gli succhio il cazzo, mi piace andare a cercare i suoi punti caratteristici. Ora la cicatrice dell'ernia ombelicale, ora quella dell'appendicite, ora quella del PNX. I suoi piedi oltre i pedali.
Respiro faticosamente dal naso. Il mio sudore gronda dalla fronte. Aria calda dai bocchettoni. Finestrini ancora chiusi.
Lo guardo raramente in faccia e quando voglio non è semplice. Devo oppormi alla spinta della mano. Sollevo la testa, prendo aria dal naso. I suoi occhi sono chiusi e la bocca semiaperta. Sento un leggere gemito, di affanno. Ancora giù.
Rallento il ritmo, lui me lo permette.
In lontananza
Candy came from out on the island
In the backroom she was everybodys darling,

poi scompare.
Adoro Lou Reed. Adoro Walk on the wild side.
Sto bene. Sono eccitato.
"Piano, piano bimbo, Non voglio venire subito."
Si accende una sigaretta, abbassa il finestrino. Ho voglia di fumare ma rimango immobile.
Libero il cazzo dalla morsa e lo guardo. Nella penombra non riesco a scorgerne i dettagli. E' curvato verso il basso, non più durissimo. Parte largo dalla base, restringendosi appena sotto la cappella solo in parte scoperta. E' liscio, lucido, venoso. La cappella chiude perfettamente la curva, né più larga né più stretta. Lo sbocco di uscita dell'uretra leggermente spostato verso l'alto offre una goccia di pre-sperma. La succhio.
Ho voglia di fumare.
Nessuno dei due parla, seduti uno accanto all'alto ci godiamo il silenzio e il buio mentre le sigarette si consumano.
Ancora Lou Reed. Ancora Walk on the wild side in vicinanza. Sigarette ancora accese.
Rumore di gomme sulla strada dissestata. I fari ci illuminano e Lorenzo mi tiene giù la testa. Lo lasco fare. Mi commuove il suo senso protettivo. La mia guancia poggia contro la cappella. E' bagnata, mi bagna.
Tutto tace di nuovo. Niente musica. Niente gomme. Il finestrini ancora abbassati.
Lorenzo lo guarda.
"Com'è?"
gli chiedo ancora nella stessa posizione.
"Va bene, non ti alzare, anzi fagli vedere il culo."
Di nuovo a pecora. Ancora il cazzo in mano poi in bocca.
"Ti amo Lorenzo."
"Anch'io. Inarca la schiena."
Mi sbottona i jeans. Fa fatica con i bottoni e lo agevolo sollevando il busto.
Non porto le mutande e sono ancora a pecora; la schiena è inarcata e succhio ancora.
"Cosa fa?"
"Si tocca, continua."
Su e giù con la testa, gli occhi chiusi. Gira il tronco. Le sue mani sul culo.
Liscio, senza un pelo. Né grasso né magro, Lorenzo lo definisce un culotto e a me non dispiace.
Lo mostra fiero al nuovo arrivato. Gli fa un cenno.
La portiera si apre. Silenzio. Si chiude. Il mio finestrino ancora aperto.
Lorenzo si ritrae, torna seduto. Guarda il tipo, lo guardo lui. Non vuole che io lo veda.
"Com'è?"
Nessuna risposta.
La sua ombra termina su Lorenzo, le sue mani sul culo. Mani screpolate da chi le usa per lavoro. Dita grosse. Le unghia mangiate sul mio culo.
Sono eccitatissimo.
Non parla, scopre il mio culo e vuole conoscerlo. Verifica le sue reazioni quando viene accarezzato, schiaffeggiato, baciato e leccato. Lorenzo lo guarda, io guardo lui. Il suo cazzo mi batte in bocca. E' di nuovo durissimo. Ogni tanto mi tira su la testa.
"Così mi fai venire."
L'altro mi allarga le chiappe. Avvicina la faccia. Non ce la fa.
Un cenno di Lorenzo e la portiera si apre. Mi tira giù le gambe dalla macchina. Lorenzo è lontano. Si avvicina. Ancora in bocca.
Sento le macchine passare nella strada accanto.
Sono a pecora con le gambe divaricate e le chiappe allargate e sento le macchine passare. Caldo. Un soffio d'aria calda e poi umido. La pelle e il buco bagnati.
La sua lingua striscia tra le mie chiappe. Niente gemiti. Qualche piccolo sussulto in avanti.
"Ti piace?"
Faccio cenno di si con la testa, continuo a succhiare.
La sua lingua cerca di nuovo il buco, lo lecca, lo penetra. Ancora sussulti, piccoli gemiti smorzati. Alzo gli occhi, Lorenzo fissa il mio culo, mi preme la schiena. Sollevo in culo.
"Daglielo in faccia."
Il suo naso preme dove iniziano le chiappe, la lingua sempre più dentro.
Mi piace sentirmi soffocare, lo stato d'ansia mi eccita. Non ritiro il culo.
Le sue mani scompaiono. Ancora un cenno. Preservativo.
Gomma sulle chiappe, scompare la punta. La sento spingere. Lorenzo si sega.
Distendo il mio torace sulle sue ginocchia. Afferro la maniglia del lato passeggero. Mi sento protetto.
Allunga il braccio e tasta il buco. Anche l'altro si sega.
Ancora lingua, ancora umido, ancora dentro, ancora assenza.
Una mano sul fianco e con l'altra guida il cazzo alla meta.
Spinge. Gomma. Spinge. Tre sussulti in avanti e ingoio il cazzo di Lorenzo. E' dentro.
Mette anche l'altra mano sul fianco. Lorenzo lo guarda, io guardo lui.
I piedi sull'asfalto, il culo a mezz'aria, due mani su fianchi, il cazzo nel culo. Sono scopato.
Mano sulla testa, cazzo in bocca. Sono scopato.
Scopato due volte è come non essere scopato o è come essere scopato al quadrato?
Non rispondo, dimentico. Uno avanti e uno dietro. Uno spacca l'altro pure.
L'ombra mi scopa da dietro, si distende sulla mia schiena. Colpi di reni e di anca. Più di anca che di reni, si butta a peso morto nell'oscurità del mio culo. Lo sento in pancia.
Lo sento in bocca.
Per un momento non li distinguo. E' lo stesso cazzo che mi scopa bocca e culo. Un uomo e la sua ombra mi tengono in mezzo.
Piccoli gemiti, di affanno. Ansima. Schizzi caldi, dolciastri, densi. Sapore di maschio. E' il sapore che sento tutte le volte che gli sono vicino. E' sapore di casa.
Mi trattiene la testa sul cazzo.
"Bevi, bevi tutto bimbo."
La sua voce è interrotta da spasmi. Lo amo e lui ama me. Bevo.
La presa si allenta, mi solleva la testa e mi bacia.
Gli ansimo in bocca, aria calda contro aria calda.
L'ombra continua a scoparmi, ma ormai è tutto finito. Lo allontana spingendolo.
"Sto per venire."
Due colpi con la mano e si schizza sui piedi.
Sono ancora a pecora mente l'ombra svanisce così com'è arrivata: con un rumore di gomme sulla strada dissestata.
Accendo la radio.
All those fake celebrities and all those vicious queens
All the stupid papers and the stupid magazines
Sweet dreams are made of anything that gets you in the scene.

dalle casse.
Eurythmics. Aria. Strada dissestata. Respiro. Sigaretta. Respiro.
Lo guardo. Mi guarda. Ci sorridiamo.
Nessuno dei due parla.

martedì 2 settembre 2008

intermezzo

La prima volta che ho visto una figa avevo 3 anni.
Era piatta. Una piccolissima fessura, qualcosa che c'era e non c'è più.
Per me era un'assenza non dovuta a una naturale evoluzione ma a un disgraziato incontro con il gatto mangiapiselli, felino noto per essere ghiotto di uccelli urinanti all'aperto.
Ho pianto quel giorno.

giovedì 28 agosto 2008

E' cielo. E' sabbia. E' mare


Macchina. Asfalto. Trigno. Molise. Traversa a sinistra. Macchine in moto. Macchine ferme. Audi grigia dietro. Bidone di cemento davanti con scritte. Mara bocca golosa. Mara bocca focosa. Mara bocca bollente. Mara bocca di miele. Un numero di telefono. Niente di più. Bottiglie sparse. La pineta ci accoglie. Fazzoletti, preservativi e ancora fazzoletti. Brandelli di riviste porno. Pini marittimi, aghi sul suolo e rami a terra. Ci sediamo. Fazzoletti, preservativi e ancora fazzoletti. Brandelli di riviste porno. Frinire. Calpestii. Passami la canna. Lui a me. Io a lui. Un uomo. Un altro, degli altri. Scie odorose. Uno fermo. Uno passa. Si guardano. Uno va, uno resta. Tensione nell'aria. Uomo. Si ferma, lo guarda, si avvicina, si ferma. Lo guarda. Gli è davanti, la maglia si alza, la patta si apre. Uno schiacciato contro un albero, l'altro in ginocchio. Cazzo in mano poi sparisce. La testa in avanti. La schiena si inarca e il culo si solleva. Pochi peli. Culo rasato, morbido al tatto.Uomo. Si avvicina, si ferma, osserva. Non ha la maglia, mano sul fianco, tira fuori il cazzo. Lo appoggia al culo. Il cazzo in bocca soffoca il gemito. E' dentro. Culo e bocca, è dentro. Profumo di resina. Non sento più le cicale. Aria satura. Cosce contro il culo. Mani sui fianchi, mani sulla testa. Calpestii. Ha il cazzo duro. Schizza in silenzio. Non finisce qui. Uno in culo, uno in bocca. Sempre uguale. Un cazzo riemerge. Schizzi. La patta si chiude. Passi. L'ultimo arrivato si allontana. Restano in due. Ancora uno in piedi e l'altro in ginocchio, schizzato. Cazzo in mano. Mano veloce. Testa inclinata. Schiena inarcata. Ginocchia piegate. Schizza. L'altro beve. Si alza. La maglia si abbassa. Un uomo se ne va. Un uomo resta. Fazzoletti, preservativi e ancora fazzoletti. Brandelli di riviste porno. Usciamo dal lato opposto. Sul tronco attivo dotato 333.18757xx. E' cielo. E' sabbia. E' mare.

mercoledì 27 agosto 2008

lunedì 25 agosto 2008

trittico porno di Tiziano Scarpa dal libro mister dildo di Fausto Gilberti

porto le stigmate del sesso
porto addosso l'alieno

sbarazzami della mia immagine
separami dal sesso

fotografami filmami rappresentami
manda la mia figura in giro per il mondo

fammi vivere senza la mia oscenità
spella la mia nudità

scortica questa mia presenza impresentabile
fotografami filmami rappresentami

se mi grattugi via l'immagine
sarò libero sarò una persona seria

lascia che sia la mia immagine
a fare porcherie

non io
non io